capitolo II
... ALLA TERRA
Giunte sulla terraferma, nella parte meridionale di Nestrian, le
sacerdotesse Koros’hin, senza venire meno al loro razziale spirito di
iniziativa e alla laboriosità femminile, incominciarono ad organizzarsi in
colonie e gruppi sempre più numerosi, fondando vari avamposti sulle rive del
grande mare, loro casa natia; furono principalmente due i punti ove si
raccolsero la maggior parte delle Koros’hin, Nessahl (poi divenuto Porto
Nessahl, o “addio”) e Ssil’marki (Porto Ssil’marki, o “rinascita/nuova
nascita”).
La zona costiera del continente infatti risultava poco frequentata
dai grandi predatori del centro e permise di rendere graduale il progressivo
allontanamento dalle loro dimore subacquee. Venute in contatto con alcune tribù
umane di pescatori, organizzati in villaggi di palafitte e pescando lungo le
coste su piroghe più o meno grandi, impararono in breve tempo a collaborare,
comunicando via via sempre più facilmente, man mano che molte Koros’hin si
univano in matrimonio con gli uomini.
Ben presto i piccoli villaggi costieri
umani si ingrandirono per ospitare un intero popolo straniero, ponendo così le
basi per la creazione di un reame Koros’hin sulla terraferma. In pochi anni vennero
poste le fondamenta della loro capitale, la grande città di Nuleh’ral (Roccia
Viva), Corallo nel linguaggio comune, governata da un cerchio di sacerdotesse
di Kalahadi, secondo un regime teocratico, come era stato loro insegnato e
tramandato nel corso dei secoli.
Agli umani fu precluso l’accesso alla città,
archivio storico e religioso della civiltà Koros’hin e culla di tutto il loro
sapere.
Corallo giaceva tra i due grandi fiumi navigabili che attraversavano
tutta la penisola, la Grande Lacrima e la Piccola Lacrima, entrambi provenienti
dal fiume dell’entroterra Lacrima di Kalahadi. Per le Koros’hin, infatti, i
corsi d’acqua generati dalle montagne non potevano che essere la manifestazione
della tristezza del loro paterno dio, che piangeva la dipartita dal mare del
popolo delle Koros’hin.
I villaggi e le città attorno a Corallo, multirazziali,
divennero invece il simbolo dell’unione tra Koros’hin e umani, ancora oggi
molto forte. Su di una penisola a ovest di Corallo, porto naturale al riparo da
venti troppo forti, gli umani e le Koros’hin più aperte crearono la ricca
cittadina portuale di Conchiglia (scrigno marino – Valuin’màreki), metà
fondamentale per tutta la regione a sud del continente dei commerci e degli
scambi. È in questo periodo che le Koros’hin apprendono l’arte della
navigazione dagli umani, perfezionandola ed assimilandola sempre di più nella
loro vita: maestre delle correnti, i venti terrestri furono piegati alle loro
necessità di spostamento sul mare, tramite un sistema di vele sugli scafi che
potessero sfruttarli per rendere più veloci le navi.
Fu costruito anche il
primo galeone-città, Murena, mercato itinerante di tutta la costa sud del
continente e casa per molte Cail’hin. Esploratrici per natura (e non
colonizzatrici come invece si dimostrarono gli umani) le Koros’hin furono le
prime a mappare buona parte del continente conosciuto e alcune delle isole più
vicine alla costa sud e sud-est del continente di Geahlai’den’màreka. Durante i
loro viaggi incominciarono a venire in contatto con le altre razze, umani del
nord e orchi, e raramente qualche gnomo e nano (orgogliosi e asociali nelle
loro roccaforti nelle montagne).
Con loro grande sorpresa scoprirono che la
maggior parte dei nascituri era Koros’hin (femmine), come loro, e solo in
minima parte invece rimaneva della stessa razza del padre (maschi), con però
alcune caratteristiche proprie delle Koros’hin: la non comune bellezza e
un’agilità fisica che a volte, per quelle più dotate, era paragonabile al
fluttuare delle onde, tale era la grazia dei loro movimenti. Nella città di
Corallo, ove venivano ammessi pochi stranieri, lo spettro dell’estinzione
invece, con il passare dei secoli, si faceva sempre più concreto, un’ombra che
accompagnava nella propria vita ogni Koros’hin: essendo sempre meno le nascite venne
emanata una legge che obbligava tutte le Koros’hin a mandare i propri figli
nati “puri” a Corallo, per la crescita e l’educazione. Potevano invece crescere
gli altri “mezzosangue”, inutili per la preservazione della razza. considerati
come un peccato e un’onta nei confronti della propria specie.
Le Koros’hin più
fondamentaliste abbandonavano i piccoli alle cure del padre o, nel peggiore dei
casi, venivano annegati in mare, per purificare le colpe della madre, in quanto
aveva generato dei figli impuri. I mezzosangue tutt’oggi chiamati Nes’marek, i
“senza madre” (da notare come la parola madre – Marek – sia molto simile alla
parola mare – Màreka o Màrka più colloquiale), o comunemente chiamati dalle
altre razze come “orfani” o “orfanelli”, talvolta in senso pietoso e ironico,
talvolta in senso dispregiativo e razzista, come dei senza patria immeritevoli
di rispetto.
È però normale che in breve tempo, le Koros’hin che si erano
spinte fin sulle isole o che solcavano i mari decisero di non sottostare a
questa legge iniqua, che mirava solo a preservare la decadente Corallo e la
vecchia generazione di femmine, ormai troppe vecchie per comprendere quale
potesse essere la strada futura delle Koros’hin.
Queste Koros’hin, non più
custodi delle acque, cambiarono definitivamente il loro nome in Cail’hin,
figlie delle acque, un modo per rendere omaggio al loro passato, senza tradire
le loro origini.